“Pensavano che anche io fossi una surrealista, ma non lo sono mai stata.
Ho sempre dipinto la mia realtà, non i miei sogni”.
(Frida Kahlo, Time Magazine, “Mexican Autobiography”, 27 aprile 1953)
Il 6 luglio 1907 nacque a Coyoacàn, Città del Messico, Magdalena Carmen Frida Kahlo y Calderòn, (Coyoacán, 6 luglio 1907 – Coyoacán, 13 luglio 1954) una delle pittrici più enigmatiche e discusse del Novecento. Sin da piccola, Frida dovette fare i conti con la malattia, tant’è vero che a soli sei anni si ammalò di poliomelite, con danni permanenti alla gamba destra. Questo fu solo l’inizio di una serie di sofferenze, che avrebbero accompagnato la giovane pittrice nel corso della sua vita. Infatti, nel 1925, di ritorno dalla Escuela Nacional Preparatoria, rimase coinvolta in un terribile incidente, che le provocò mesi di degenza in ospedale e conseguenze atroci fino al giorno della sua morte. Ma, proprio da questa esperienza avvenne l’incontro con la pittura; essendo costretta a letto, infatti, si fece montare sul letto un cavalletto e iniziò a dipingere i suoi primi ritratti. Uno in particolare destò l’attenzione del pittore muralista Diego Rivera (Guanajuato, 8 dicembre 1886 – Città del Messico, 24 novembre 1957) con il quale poi si sposò nel 1929.
Si tratta dell’ “Autoritratto con vestito di velluto”, realizzato nel 1926, dove la Kahlo si ritrasse in una linea sinuosa e allungata, ancora stilisticamente classica. La sua pittura, però, negli anni a seguire si scostò dal classicismo e assunse una vena intimistica: Frida trasponeva su tela la sua vita, ogni accadimento della sua esistenza veniva tradotto in pittura. Rappresentò così l’insofferenza verso gli Stati Uniti in “Il mio vestito è appeso là”, quando vi si trasferì negli anni Trenta con suo marito; oppure, raccontò in maniera cruda e straziante i suoi molteplici aborti in “ Ospedale Henry Foard”, del 1932. Piccoli oli su faesite, veristici e dettagliati, riconducibili in maniera diretta ai retablos messicani. Gli Stati Uniti furono anche il modo per farle conoscere il mondo dell’arte e, a sua volta, per farsi conoscere da questo. Ebbe modo, infatti, di entrare in contatto con le correnti avanguardistiche europee, in particolare, fu stretto il rapporto tra la Kahlo e Bretòn, che la consegnò al mondo del surrealismo, movimento però che lei stessa ripudiò con forza negli anni a seguire. L’indipendenza della sua pittura si svela nella serie degli autoritratti, che intraprese a partire dagli anni ’40, a seguito del divorzio da Rivera: si dipinge ferita in “ Autoritratto con collana di spine” o delusa e piangente in “La colonna spezzata”. Nonostante la sofferenza per la separazione, il suo sguardo è altero, fiero, non perde di compostezza la sua acconciatura alla moda delle donne tehuane.
Oltre al dolore interiore per la separazione dal marito, la Kahlo dovette fare i conti con le conseguenze dell’incidente, che negli anni si erano fatte maggiormente presenti. Il 1946 fu l’anno della fusione spinale: il suo corpo costretto entro ventotto busti, una serie di interventi sbagliati e dolorosi che la portarono ad assumere dosi massicce di droghe, mischiate all’alcool. Fu un lento e pericoloso e declino, fu la l’inizio della fine, soprattutto in seguito all’amputazione della gamba destra nel 1953. Nonostante ciò, continuò a dipingere; per effetto delle droghe, la sua pittura meticolosa e dettagliata lasciò il posto a pennellate veloci, insicure e nevrotiche. Ma, non perse fino all’ultimo il suo amore per l’arte e per la vita, mantenendo sempre vivo il nero dei suoi occhi. Frida Kahlo morì il 13 luglio 1954, a soli quarantasette anni, nella sua casa di Coyoacàn.
Elisa Medda