Carissime lettrici e lettori continua il nostro appuntamento settimanale con la rubrica Sesso e Psiche.
Oggi vi palerò del caso di F. , 25 anni, studentessa universitaria. F. arriva da me riferendomi di soffrire di attacchi di panico, esausta di questo problema. Dice di non poter più andare avanti con la sua vita quotidiana poiché gli attacchi sopraggiungono con maggiore frequenza rispetto agli esordi. Questo fatto fa sì che la donna abbia paura di uscire sola di casa poiché teme che il problema le si presenti improvvisamente e non sappia affrontarlo. Nel momento in cui deve uscire si assicura che ci sia qualcuno ad accompagnarla, altrimenti preferisce stare a casa. Nell’ultimo periodo, prima che arrivasse da me, il problema si era manifestato anche quando si trovava in casa. La donna sostiene che nel momento un cui le viene l’attacco di panico sente in cuore in gola, ovvero i battiti del cuore aumentano sempre più, ha forti capogiri, la respirazione si fa sempre più difficoltosa e sente che il suo corpo sta per cedere improvvisamente: sente letteralmente il pavimento cedere sotto il peso dell’attacco di panico. Tutto ciò con la paura costante di non riuscire a superare il dato momento. Più sente i suoi battiti accelerare più la paura diventa ingestibile e il suo corpo inerme cede ad una paralisi totale. Quando ciò succede F. attiva intorno a sé tutto un sistema di assistenza immediata, nel senso che vengono avvisate da lei stessa o da chi le sta vicino in quel momento tutte le persone a lei più care. La donna si sente malata e come tale viene trattata. Tutto intorno a F. ruota in funzione dei suoi attacchi di panico: dal sistema famigliare a quello amicale, il quale si premura di non lasciarla sola o di fornirle l’assistenza di cui necessita. La prima volta che le è venuto un attacco di panico si trovava all’università, stava lì per assistere a una lezione; appena sopraggiunti i segnali di malessere chiamò la sorella che le fornì l’assistenza da lei richiesta. In seguito a quell’evento la ragazza visse con la paura che il “malessere” che la colse all’università potesse ripresentarsi in qualsiasi momento: in questo modo non fece altro che preparare il terreno agli attacchi successi che divennero, come già detto, sempre più frequenti.
La sensazione predominante durante l’attacco di panico di F. è la percezione del tempo dilatata: i pochi minuti di malessere sembrano essere un tempo indefinito laddove l’attacco viene vissuto senza una fine, col timore di una morte imminente. In altri casi si può avere la paura d’impazzire o di perdere il controllo delle proprie emozioni. Nel caso in questione appare chiaro che in seguito al primo attacco s’insidia nella donna il timore che ne sopraggiungono altri: questo fa sì che si realizzi quella che è la sua paura, cioè che ne seguano altri (la profezia che si realizza; il timore che ci succeda qualcosa fa in modo che il nostro comportamento renda concreta la nostra paura). In letteratura si parla in questi casi di “disturbo da attacchi di panico” (DAP), che possono essere presenti senza un reale motivo.
Ritornando al caso di F., uno dei primi aspetti su cui si è lavorato è proprio il suo essere etichettata o sentirti “malata” e l’essere trattata dagli altri in quanto tale, situazione dalla quale la ragazza traeva pure dei vantaggi. Il fatto che le sue relazioni intime fossero in apprensione non faceva altro che rafforzare il pensiero e la sensazione di non potercela fare da sola, come se le dicessero: “non potrai mai farcela da sola”. In questo caso si dice che “il sistema regge il sintomo”, perché continuando a prestarle soccorso e trattandola da malata le persone a lei vicine incrementavano la sua ansia e la sua paura circa il sopraggiungere del prossimo attacco. Il DAP può essere descritto come un circolo vizioso tra mente e sensazioni corporee: era come se F. si preparasse ai suoi stessi attacchi. Il continuo sforzo nel non volerci pensare la portavano a concentrarsi sempre di più sul problema, e ciò creava ansia con il conseguente aumento del battito cardiaco e il successivo sopraggiungere dell’attacco di panico stesso: questo è il circolo vizioso dal quale s’innesca il panico. Disinnescando questo meccanismo gli attacchi sono “magicamente spariti”. Ovviamente, per poter uscire da questo impasse, la donna ha seguito tutta una serie di strategie che hanno avuto come obiettivo la rottura di tale schema disfunzionale. Il poter sperimentare di potercela fare senza l’aiuto degli altri è stato un elemento fondamentale per la fiducia in sé, è stata l’innesco del cambiamento funzionale per la donna.
Dr. Riccardo Caboni