Il 12 dicembre del 1913, dopo due anni dal furto, venne ritrovata “la Gioconda” di Leonardo da Vinci.
Il furto era stato compiuto il 21 agosto 1911, quando Vincenzo Peruggia (Dumenza, 8 ottobre 1881 – Saint-Maur-des-Fossés, 8 ottobre 1925), alla chiusura del museo, si nascose in uno sgabuzzino buio del Museo del Louvre, per poi uscire all’alba; staccare la Gioconda dal muro; liberarsi della cornice per nasconderlo meglio sotto il cappotto e uscire indisturbato dal museo.
Il giorno seguente il personale del museo era convinto che il dipinto fosse nelle mani del fotografo ufficiale, ma poi dovettero denunciare il furto alla polizia.
Fra i sospettati ci fu anche Pablo Picasso che venne interrogato in merito, ma venne in seguito rilasciato. Si iniziò a ritenere il capolavoro perso per sempre e venne appeso al suo posto il Ritratto di Baldassarre Castiglione di Raffaello.
In realtà, Peruggia non era un ladro e non aveva rubato la gioconda per un suo interesse personale ma per il suo patriottismo. Difatti era convinto che il dipinto appartenesse di diritto all’Italia e lo scopo del suo gesto fu quello di “regalarlo all’Italia” poiché riteneva erroneamente che fosse stato sottratto da Napoleone Bonaparte come bottino di guerra.
Dopo 28 mesi dal furto, Peruggia venne scoperto nel suo tentativo di vendere la Gioconda ad un antiquario di Firenze, il quale avvertì la polizia.
Vincenzo Peruggia fu arrestato e alla polizia disse che la sua era stata un’azione patriottica. Venne processato e definito “mentalmente minorato” e condannato ad una pena di un anno e quindici giorni di prigione, poi ridotti a sette mesi e quindici giorni. La sua difesa si basò tutta sul patriottismo suscitando la simpatia di molti, tanto da coniare in suo onore il termine “peruggismo”. Egli stesso dichiarò di aver passato due anni “romantici” con la Gioconda appesa sul suo tavolo di cucina.