PAUL KLEE, DI VITTORIO SGARBI

Non c’è, in tutta la pittura del Novecento, un artista che abbia avuto maggior fortuna o, meglio, maggior considerazione di Ernst Paul Klee (Münchenbuchsee, 18 dicembre 1879 – Muralto, 29 giugno 1940). Egli piace perché arriva alla pittura non per istinto, non per necessità, ma per volontà, per maturazione di un’esperienza che parte e in fondo non si discosta mai dalla musica. Prima che pittore, infatti, Klee è violinista. Dopo gli studi a Berna, frequenta l’Accademia a Monaco, in cui è discepolo di Franz von Stuck, il grande pittore simbolista, le cui radici sono, peraltro, nel Rinascimento italiano. Ed è importante anche che tra gli autori più studiati e ammirati da Klee, negli anni della sua prima maturità, vi sia Leonardo da Vinci, tutto meno che un pittore puro. 

Le sue ricerche maturano alla luce degli stimoli delle opere di James Ensor, di Cézanne, di Van Gogh e, successivamente, dei sogni di Kubin, degli intarsi cromatici di Marc e Macke, dei teoremi di Kandinskij. È evidente, su di lui, anche l’influenza del Cubismo cromatico di Delaunay. Se l’intera opera di Klee, vastissima, può essere intesa come un diario ininterrotto, essa è anche accompagnata da un diario scritto, nel quale l’artista dà sostegno teorico alle sue immagini. Da qui deriva il grande interesse, nei suoi confronti, da parte di letterati, filosofi e musicisti. Si guarda alla sua pittura come si legge un testo filosofico. Per questa apertura è utile l’indicazione dello stesso Klee, per il quale un quadro si può guardare come un sogno, che vale quanto stabilire una relazione obbligatoria fra arte e psicoanalisi, conquista ben più recente. Come avviene nel sogno, senza intenti programmatici e dipendenze dalle avanguardie cubiste e futuriste, archiviate per conoscenza, nelle sue opere è eliminato automaticamente lo spazio tradizionale, prospettico. Tutto ciò che si vede sta in primo piano, senza alcuna profondità. Non un cielo lontano né una terra vicino a noi, ma tutto davanti, imminente, bidimensionale, e non c’è più nemmeno la legge di gravitazione universale a dominare la realtà, perché nel sogno ininterrotto tutto può stare in qualunque posto. Nel sogno c’è la libertà del nostro inconscio. Di qui il richiamo all’estetica infantile, a disegni e dipinti fatti da bambini, liberi da ogni regola che non sia l’immediata trascrizione delle loro percezioni. Immagini di un altro pianeta, in realtà referti del nostro inconscio, esemplarmente testimoniato da Klee. E davanti a un suo quadro noi abbiamo sempre anche la sensazione di ascoltare musica. L’arte è la più alta delle libertà, pur essendo potentemente radicata nella storia. Così in Klee ci sono Futurismo, Cubismo, Surrealismo, Astrattismo, ma soprattutto un’esperienza individuale, irripetibile e nondimeno universale. La pittura come essenza segreta, come rivelazione del mistero del mondo.


Vittorio Sgarbi