Annelies Marie Frank (Francoforte, 12 giugno 1929 – Belsen, 31 marzo 1945), è stata una ragazza ebrea tedesca, divenuta un simbolo della Shoah per il suo diario scritto nel periodo in cui la sua famiglia si nascondeva dai nazisti. Una storia che culmina nella morte di Anna Frank nel campo di concentramento di Belsen e che prosegue grazie al ritrovamento e alla pubblicazione del suo diario nel 1947. Un omaggio a una grande anima che, cristallizzata nelle pagine di un diario, ancora oggi e’ capace di toccare i cuori di migliaia di giovani in tutto il mondo e che descrive la brutalita’ della guerra e una vivida testimonianza della Shoah.
Anna, visse parte della sua vita ad Amsterdam nei Paesi Bassi, dove la famiglia si era rifugiata dopo l’ascesa al potere dei nazisti in Germania. Fu privata della cittadinanza tedesca nel 1941, divenendo così apolide.
Il padre Otto Heinrich Frank (Francoforte sul Meno, 12 maggio 1889 – Basilea, 19 agosto 1980), proveniva da una famiglia molto agiata ed ebbe un’educazione di prim’ordine. In seguito alle leggi razziali di Adolf Hitler, nel 1933 la famiglia Frank si trasferì ad Amsterdam. Qui, il padre di Anna trovò lavoro come dirigente in un’importante azienda grazie al cognato.
– Nel 1940, i nazisti invadono l’Olanda e, per gli ebrei, iniziarono tempi molto difficili. Tra tante umogliazioni, sono costretti a cucire sugli abiti la stella giudaica, oltre ad essere privati di tutti i mezzi e beni propri. Anna e la sorella vengono iscritte al Liceo ebraico e, nonostante le restrizioni, continuano a condurre una vita sociale intensa, grazie soprattutto allo sforzo dei genitori, impegnati a non far pesare questo stato di cose. Tuttavia Otto, molto previdente, cerca un posto sicuro dove rifugiarsi, poiché numerose famiglie ebree, con il pretesto di essere spedite nei campi di lavoro in Germania, sparivano nel nulla e, sempre più insistenti, correvano voci sulla creazione, da parte dei nazisti, delle “camere a gas”.
– Nel 1942, una lettera creò il panico ai Frank: era una convocazione per Margot, con l’ordine di presentarsi per un lavoro ad “est”. Non c’era più tempo da perdere: l’intera famiglia si trasferisce nel rifugio trovato dal padre, un appartamento proprio sopra gli uffici della ditta. L’ingresso era nascosto da uno scaffale girevole, contenente alcuni schedari. Ancora oggi è possibile visitare l’alloggio segreto in Prinsengracht 263, che la Fondazione Anna Frank mantiene intatto, come allora.
I Frank accolsero nel loro rifugio un’altra famiglia e vissero, insieme, reclusi nell’alloggio segreto, senza mai vedere la piena luce del giorno.
Il diario di Anna è una cronaca di quei due anni con una descrizione dettagliata delle due famiglie costrette a convivere in pochi metri quadrati di spazio. Anna ha descritto i caratteri di ognuno, le piccole manie, gli scontri, le liti, gli scherzi, i malumori, le risate e, sopra di tutto, il costante terrore di essere scoperti. Il 1 ottobre del 1942, ha scritto: “…mi sono terribilmente spaventata, ebbi un solo pensiero, che stessero venendo, chi lo sai bene…”. Del resto le notizie che arrivavano dall’esterno erano spaventose: intere famiglie ebree erano state arrestate e deportate nei campi di concentramento.
Le ore più difficili erano quelle del mattino, a mattina era uno dei momenti più difficili: bisognava stare fermi e zitti per non far trapelare il minimo rumore al personale estraneo dell’ufficio sottostante, non camminare, non usare la toilette, ecc. Durante queste ore, con l’aiuto del padre di Anna, uomo colto e preparato, i ragazzi studiavano.
Intanto nel mondo esterno le notizie erano sempre più tragiche, sparivano le persone e venivano confiscati i loro beni. Anche coloro che aiutavano queste persone disperate correvano gravissimi pericoli, poiché la Gestapo aveva iniziato a praticare la tortura in maniera indiscriminata.
L’ultima pagina del diario di Anna viene scritta 1 agosto del 1944. Venerdì 4 agosto 1944, durante una tranquilla mattina, che sembrava come tutte le altre, la polizia tedesca, guidata da un collaborazionista olandese, fa irruzione nell’ufficio e nell’alloggio segreto. Tutti i rifugiati ed i loro soccorritori vengono arrestati.
L’8 agosto le due famiglie furono trasferiti nel campo di Westerbork, un campo di smistamento da cui, il 3 settembre 1944, partì l’ultimo convoglio di deportati per il campo di sterminio di Auschwitz. Erano in tutto 1019 persone. Arrivarono ad Auschwitz il 6 settembre e, nello stesso giorno, furono mandati nella camera a gas 550 dei nuovi sopraggiunti, fra cui tutti i bambini al di sotto dei quindici anni. Margot ed Anna furono colpite dalla scabbia e ricoverate in un reparto apposito, Edith Frank le seguì per non lasciarle sole. Rimase con loro fino al 28 ottobre, quando le due sorelle furono trasferite a Bergen Belsen.
Edith rimase ad Auschwitz e morì di fame e di dolore il 6 gennaio 1945. Nel mese di febbraio le Frank furono colpite dal tifo: una delle donne sopravvissute si ricorda di aver visto, in pieno inverno, che Anna, nelle allucinazioni provocate dalla febbre, aveva gettato via tutti i vestiti e si teneva stretta addosso solo una coperta delirando di alcune bestioline che le camminavano addosso, poi mormorava in maniera desolata: “…non ho più la mamma né il papà, non ho più niente…”.
Ormai, Malate, denutrite, le due ragazze si spegnevano ogni giorno di più. Margot morì per prima, quando fu trovata era ormai rigida, Anna resistette altri due giorni. Tre settimane più tardi le truppe Alleate inglesi liberarono il campo di prigionia.
L’unico sopravvissuto della famiglia frank fu Otto che, appena liberato, tornò in Olanda, direttamente a casa dei fedeli Miep ed Henk. Sapeva già della morte della moglie, ma solo molto tempo dopo venne a sapere la sorte delle due figlie: aveva perso tutta la sua famiglia.
Il diario di Anna fu pubblicato, con il permesso di Otto Frank, nel 1947, con il nome di “Het Achterhuis – il Retrocasa”.
Rebecca Molinari