Girolamo Francesco Maria Mazzola, detto il Parmigianino (Parma, 11 gennaio 1503 – Casalmaggiore, 24 agosto 1540), è stato il pittore italiano considerato un fondamentale esponente della corrente manierista e della pittura emiliana in generale.
La sua carriera di pittore inizia da giovanissimo, quando inizia a dipingere sotto l’ala protettrice e incoraggiante degli zii Pier Ilario e Michele Mazzola, pittori come il padre Filippo, morto nel 1505 quando il pittore aveva solo due anni. Proprio nella sua città natale comincia a stupire il sospettoso ambiente artistico e religioso di provincia con le opere in San Giovanni Evangelista e a Fontanellato, suscitando curiosità e invidia nel più maturo maestro Correggio.
Il suo stile diventa presto simbolo del gusto cortese, quasi imperiale. I ritratti da lui eseguiti compongono un’ampia galleria di personaggi di affascinante presenza, come quello del Carlo V, oppure al suo famoso “Autoritratto allo specchio”, in cui si ritrae con l’aspetto grazioso molto e più tosto d’angelo che d’uomo. Dalla vita e cultura della sua provincia decide di trasferirsi verso Roma, dove rimane abbagliato dall’arte di Michelangelo Buonarotti e Raffaello Sanzio.
A Roma ha modo di accedere alle “enclave” del potere, di vedere da vicino non solo i personaggi più influenti del suo tempo in campo politico e finanziario, ma anche di avvicinare agli artisti, eredi del grande Raffaello.
Visse il dramma del Sacco di Roma, in cui la città eterna fu conquistata e duramente saccheggiata da lanzichenecchi e spagnoli, i quali crearono anche notevoli danni al patrimonio artistico.
Per sfregio, ad esempio, il nome di Lutero fu inciso con la punta d’una spada sull’affresco “La Disputa del Santissimo Sacramento” nelle Stanze di Raffaello, mentre un altro graffito inneggiava a Carlo V imperatore.
Il Saccheggio fu anche la causa di dodicimila morti, stupri, soprusi e la perdita del tesoro d’arte inestimabile, ossia la maggior parte dell’oreficeria artigiana di chiesa.
Tutto ciò turbò profondamente l’animo del già sensibile artista, apparentemente appagato e sereno. Il Parmigianino stranamente si allontana dalla passione pittorica e comincia a dedicarsi all’alchimia in maniera quasi ossessiva, inseguendo il sogno di sempre dei seguaci di questa disciplina, ossia quello di trasformare il mercurio in oro. Il risultato di questa mancanza di concentrazione artistica è che il pittore non riesce più a trovare per i suoi cicli pittorici la giusta ispirazione che mai gli era mancata. Tale è stata la crisi dell’artista che per un lungo periodo non riesce neanche a finire gli affreschi della chiesa della Steccata in Parma. Proprio in quegli anni realizza un autoritratto dipingendosi con il volto segnato e l’aria stanca ma dallo spirito ancora bruciante, così come lo stesso Giorgio Vasari ne riporta le carateristiche di “uomo quasi salvatico”.
Perugino si spegne il 24 agosto 1540, e volle essere sepolto “nudo con una croce d’arcipresso sul petto in alto” a Casalmaggiore, lungo il Po.
Fra le ultime e più famose opere figurano la celebre “Madonna dal collo lungo”, conservata nella Galleria degli Uffizi a Firenze e l’“Antea” nel Capodimonte di Napoli.
Nausica Baroni