SALVATOR ROSA, ARTISTA ECLETTICO E VERSATILE

La fama di Salvator Rosa (Napoli, 21 luglio 1615 – Roma, 15 marzo 1673), pittore, incisore e poeta italiano del periodo barocco, è legata soprattutto alla rappresentazione di paesaggi di natura selvaggia, alle scene di battaglia, caratterizzate da una cruda espressività carica di tonalità scure. Dipinse in poche occasioni anche ritratti allegorici, soggetti mitici e biblici, dove la morale e la filosofia sono avvolte da un’atmosfera misteriosa.
Nato all’Arenella, quartiere partonopeo, allora villaggio fuori porta, oggi a tutti gli effetti quartiere di Napoli, era figlio di Vito Antonio de Rosa che morì quando Salvator Rosa aveva solo 6 anni, e di Giulia Greca che lo abbandonò con i fratelli, Giuseppe e Giovanna, al nonno, Vito Greco. Il nonno Vito, desideroso di vederlo prete o avvocato, lo mandò, insieme al fratello, a studiare in un convento. Ma il giovane Salvatore era interessato all’arte, e dopo uno studio iniziale della pittura, appreso dallo zio materno, passò a lavorare con il cognato Francesco Fracanzano (Monopoli, 1612 – Napoli, 1656) e quindi con Aniello Falcone (Napoli, 1600 o 1607 – Napoli, 1665) e Jusepe de Ribera conosciuto anche come José de Ribera o Spagnoletto (Xàtiva, 17 febbraio 1591 – Napoli, 2 settembre 1652).
Nel 1634, con l’apprezzamento di Giovanni Lanfranco, si trasferì a Roma dove stabilì i primi contatti con la Scuola dei bamboccianti che presto abbandonò.
Nel 1636, tornato a Napoli, si dedicò alla pittura dei paesaggi con scene che anticiparono temi romantici, caratterizzati da eventi spesso turbolenti, opere che vendeva per somme irrisorie restando all’ombra delle scene artistiche cittadine che erano dominate dal trio Jusepe Ribera, Battistello Caracciolo e Belisario Corenzio.
Nel 1638, tornato di nuovo a Roma, fu ospite del cardinale Francesco Maria Brancaccio, nuovo vescovo di Viterbo, che lo commissionò per dipingere a Viterbo “l’Incredulità di Tommaso” per l’altare della chiesa di San Tommaso, il suo primo lavoro d’arte sacra. Sempre a Viterbo conobbe il poeta Abati che stimolò la sua attitudine poetica.
Noto soprattutto per la sua attitudine per la pittura, si distinse comunque come un artista eclettico e versatile, e si espresse anche nella recitazione, nella poesia e nella composizione della musica.
Durante il suo primo soggiorno romano strinse rapporti con i pittori Pietro Testa e Claude Lorrain e partecipò a spettacoli satirici per le vie della città durante il periodo del carnevale; in questa occasione entrò in polemica con Gian Lorenzo Bernini.
Dal 1639 al 1647 tornò a Firenze e promosse “l’Accademia dei Percossi”, una sorta di associazione culturale, che riuniva poeti, letterati e pittori. Fu il periodo in cui spinse Lorenzo Lippi (Firenze, 6 maggio 1606 – Firenze, 15 aprile 1665), pittore e poeta,
 a comporre il poema “Il Malmantile Racquistato” e Rosa conobbe anche Ugo e Giulio Maffei dai quali visse per un periodo a Volterra. Compose le sue “Satire: Musica, Poesia, Pittura e Guerra”; nello stesso periodo fece il suo autoritratto, ora esposto agli  Galleria degli Uffizi.
Per le sue numerose rappresentazioni pittoriche di sceniche battaglie, Salvator Rosa
 fu soprannominato “Salvator delle battaglie”. 
Durante il suo soggiorno fiorentino realizzò
 opere dal tono esoterico e magico come “Streghe e incantesimi” del 1646, esposto al National Gallery e dai temi allegorici e filosofici  come “La Fortuna”, esposto al Paul Getty Museum.
A Roma realizzò una serie di dipinti che segnarono una sorta di evoluzione delle precedenti opere paesaggistiche, a nuovi soggetti di gusto classico, come “La morte di Socrate”.
Durante gli ultimi anni del suo soggiorno romano dipinse assoluti capolavori di soggetto mitologico-morale come “Lo spirito di Samuele evocato davanti a Saul dalla strega di Endor”, acquistato da Luigi XIV,  oggi esposto al Museo di Louvre.
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Salvato Rosa morì a Roma il 15 marzo 1673, e fu sepolto in Santa Maria degli Angeli con un monumento eretto dal figlio Augusto, come risulta dall’epitaffio:
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“D.O.M.
SALVATOREM ROSAM NEAPOLITANUM
PICTORIS SUI TEMPORIS
NULLI SECUNDUM
POETARUM OMNIUM TEMPORUM
PRINCIPIBUS PAREM
AUGUSTUS FILIUS
HIC MOERENS COMPOSUIT
SEXEGENARIO MINOR OBIIT
ANNO SALUTIS MDCLXXIII
IDIBUS MARTIIS”.  

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Alessia Marcon