Di lui, lo scrittore e storico dell’arte, Gian Pietro Bellori (Roma, 15 gennaio 1613 – Roma, 19 febbraio 1696), nella sua opera “Le Vite de’ pittori scultori e architetti moderni”, scrisse: “Erano le sue maniere signorili più tosto che di uomo privato, e risplendeva in ricco portamento di abito e divise, perché assuefatto nella scuola del Rubens con uomini nobili, ed essendo egli natura elevato e desideroso di farsi illustre, perciò oltre li drappi si adornava il capo con penne e cintigli, portava collane d’oro attraversate al petto, con seguito di servitori. Siché imitando egli la pompa di Zeusi, tirava a sé gli occhi di ciascuno: la qual cosa, che doveva riputarsi ad onore da’ pittori fiamminghi che dimoravano in Roma, gli concitò contro un astio ed odio grandissimo: poiché essi, avvezzi in quel tempo a vivere giocondamente insieme, erano soliti, venendo uno di loro nuovamente a Roma, convitarsi ad una cena all’osteria ed imporgli un soprannome, col quale dopo da loro veniva chiamato. Ricusò Antonio queste baccanali; ed essi, recandosi a dispregio la sua ritiratezza, lo condannavano come ambizioso, biasimando insieme la superbia e l’arte.”
Antoon van Dyck (Anversa, 22 marzo 1599 – Londra, 9 dicembre 1641), il settimo di dodici figli, è stato un pittore fiammingo, principalmente ritrattista, dell nobiltà genovese e della corte di Carlo I d’Inghilterra. dopo un lungo soggiorno in Italia. Fu allievo e amico del pittore Peter Paul Rubens, del quale assimilò la tecnica e, in parte, lo stile. La sua tecnica rilassata ed elegante influenzò i ritrattisti inglesi, come Peter Lely, per i successivi anni. Oltre ai ritratti, per i quali fu molto apprezzato, si occupò anche di soggetti biblici e mitologici, introducendo alcune notevoli innovazioni pittoriche.
Da giovanissimo si trasfrì in Italia, dove compì il rituale viaggio di formazione, caratteristico di tutti i grandi pittori fiamminghi. Qui ebbe l’opportunità di vedere e copiare alcune grandi opere rinascimentali, specialmente del suo pittore favorito, Tiziano Vecellio. Di ritorno dall’Italia, passò in Inghilterra, dove si occupò quasi esclusivamente di ritratti.
La passione per la pittura e il proprio nome li eredita dal nonno Antoon (1529-1581), che oltre ad essere un pittore, aveva anche un’attività commerciale di seta con lienti a Parigi e Londra, oltre che in gran parte delle città fiamminghe.
Antoon si distinse subito per il suo talento e fu inviato, nel 1609, presso la bottega di uno dei migliori pittori della città, Hendrick van Balen. Nel 1613, firma il su primo dipinro, il Ritratto di uomo settantenne, in cui sono evidenti i recenti insegnamenti di Van Balen.
A partire dal 1617, Van Dyck lavorò a stretto contatto con Peter Paul Rubens, di cui divenne allievo, abbandonando la sua bottega autonoma. Seguirono mesi di grande collaborazione tra i due: Rubens parla di Van Dyck come del suo migliore allievo.
Nella bottega di Rubens, ormai pittore affermato in tutta Europa, Van Dyck fece conoscere il suo nome negli ambienti dell’aristocrazia e della ricca borghesia e venne a contatto con la cultura classica e l’etichetta di corte. Van Dyck imparò molti segreti del maestro, adottandone molte caratteristiche, come è facile constatare nel dipinto L’imperatore Teodosio e sant’Ambrogio.
– Nel 1620, Rubens aveva firmato un contratto con i Gesuiti di Anversa per la decorazione della loro chiesa, basata su disegni di Rubens, ma eseguita da Van Dyck; oltre a questa importante commessa, Antoon ricevette anche numerose richieste da privati per la realizzazione di ritratti.
Sempre nel 1620, a ventuno anni, Van Dyck si trasferì a Londra, presso la corte del re d’Inghilterra Giacomo I. A convincerlo a spostarsi in Inghilterra erano stati l’insistenza del duca di Buckingham e di Thomas Howard, XXI conte di Arundel, quest’ultimo grande appassionato d’arte, amico di Rubens e protettore di Inigo Jones. Durante il soggiorno a Londra, ottenne da Giacomo I una pensione annuale di cento sterline; tuttavia ben presto il conte di Arundel gli concesse un permesso di viaggio all’estero per otto mesi: non sarebbe tornato per undici anni. Le opere eseguite da Van Dyck durante il primo soggiorno inglese sono profondamente diverse da quelle realizzate sino ad allora nelle Fiandre. Ad Anversa, da poco ritornata al cattolicesimo, Antoon aveva la possibilità di eseguire solamente tele a carattere religioso o ritratti. A Londra invece godette di maggiore libertà, sia nell’esecuzione dei dipinti, sia nelle scelta del tema da rappresentare.
Tornato ad Anversa, vi rimase per circa otto mesi; in questo lasso di tempo, in cui Rubens si trovava lontano, dipinse alcuni dei suoi ritratti più brillanti ed innovativi, come il Ritratto di Isabella Brant, prima moglie di Rubens, ed il Ritratto di Frans Snyders e di sua moglie Margareta de Vos.
Nel 1621 decise di partire per l’Italia, tradizionale viaggio dei pittori fiamminghi, dove rimase per sei anni, studiando ed analizzando i lavori dei grandi artisti del Quattrocento e del Cinquecento e dove si affermò la sua fama di ritrattista. Il 3 ottobre 1621 partì dalla città natale alla volta di Genova. Alla sua partenza, Rubens gli fece dono di un cavallo per il viaggio e di numerose lettere di presentazione a pittori e a committenti.
Al suo arrivo a Genova, Antoon aveva già realizzato circa trecento dipinti, situazione opposta a quella del suo maestro Rubens o di Nicolas Poussin, che al loro arrivo in Italia non avevano ancora avuto occasione di lavorare così intensamente. A Genova, il suo immediato successo è dovuto in modo particolare alla fama di Rubens, che era vissuto ed aveva lavorato molto a Genova, e di cui Van Dyck era visto come il nuovo rappresentante e continuatore.
– Nel1622, parti per Roma, dove venne introdotto nei migliori ambienti della società; durante il suo secondo soggiorno ricevette dal cardinale Guido Bentivoglio due importanti commissioni, che consistevano nella realizzazione di una Crocifissione e di un ritratto a figura intera dello stesso cardinale, il Ritratto del cardinale Guido Bentivoglio.
A differenza del maestro Rubens, Van Dyck non amò mai il mondo classico. Ne è testimonianza il suo Taccuino italiano, diario di schizzi e disegni realizzati sulla base di grandi opere studiate durante il soggiorno italiano. A Roma ebbe comunque l’opportunità di osservare e copiare i capolavori dei grandi del Rinascimento, contenuti principalmente a Palazzo Ludovisi e a Villa Borghese.
Dopo Roma si trasferì a Firenze, dove conobbe don Lorenzo de’ Medici, figlio del granduca Ferdinando I, grande appassionato d’arte e generoso mecenate. Probabilmente dipinse un ritratto del nobiluomo, che è andato perduto. Lungo la strada per raggiungere il Veneto, sostò a Bologna e a Parma, dove ammirò gli affreschi di Correggio. Giunse infine a Venezia, dove trascorse l’inverno 1622. Nella città lagunare, patria di uno dei suoi artisti favoriti, Tiziano, fu guidato alla visita dei grandi capolavori veneziani proprio dal nipote di Tiziano, Cesare Vecellio. Antoon poté finalmente coronare il suo sogno, vedere ed analizzare le opere di Tiziano e di Paolo Veronese: nel suo Taccuino italiano sono presenti disegni di opere di Giorgione, Raffaello, Guercino, Carracci, Bellini, Tintoretto, Leonardo, ma a prevalere sono quelle di Tiziano, cui sono dedicate duecento pagine.
Da Venezia passò a Mantova, dove fu introdotto alla corte dei Gonzaga. Qui conobbe Ferdinando e Vincenzo II Gonzaga, che era stato protettore di Rubens.
– Nel 1623 fu nuovamente a Roma, città nella quale si era rifiutato di venire in contatto con la locale associazione di pittori fiamminghi, lontani dallo stile accademico, che conducevano una vita semplice e non ostentata come la sua.
Successivamente, da Roma andò a Genova, fermandosi prima a Milano e a Torino, dove fu ricevuto dai Savoia.
– Nel 1624 Emanuele Filiberto di Savoia, vicerè della Sicilia, invitò Van Dyck a Palermo, perché gli facesse un ritratto. Antoon accolse l’invito e si trasferì in Sicilia, dove ritrasse il viceré; poco tempo dopo la città di Palermo fu colpita da una terribile epidemia di peste che uccise lo stesso Emanuele Filiberto. Nonostante la peste, Van Dyck rimase in città all’incirca fino al settembre 1624. Qui conobbe l’anziana pittrice Sofonisba Anguissola, ormai novantenne, che sarebbe morta l’anno seguente e di cui Antoon fece un ritratto. Durante l’incontro, che Van Dyck descrisse come “cortesissimo”, l’anziana donna, quasi completamente cieca, diede preziosi consigli ed avvertimenti al giovane pittore, oltre a raccontargli episodi della sua vita.
Il ritratto di Sofonisba Anguissola è conservato nel Taccuino italiano.
Visto il continuo infuriare della peste, Antoon tornò a Genova, dove completò la realizzazione della pala Madonna del rosario, poi inviata a Palermo, considerata come il maggior capolavoro religioso dell’artista. Negli anni che seguirono, sino al 1627, Van Dyck risiedette quasi sempre a Genova, eccetto un breve periodo nel 1625 in cui fu ospite in Provenza dell’umanista Nicolas-Claude Fabri de Peiresc.
Durante il periodo di permanenza a Genova, Antoon van Dyck fu soprattutto ritrattista. Pur non abbandonando temi religiosi e mitologici, l’artista si concentrò sul genere del ritratto: le sue tele erano solitamente di grandi dimensioni e raffiguravano personaggi della migliore nobiltà spesso a figura intera.
Nel settembre 1627 tornò ad Anversa, richiamato dalla morte della sorella Cornelia. I primi mesi furono caratterizzati da una grande produzione religiosa. In questo periodo i ritratti di carattere mitologico (Sansone e Dalila) sono rari, mentre abbondano quelli a carattere biblico-religioso, tra i quali spiccano il dipinto Estasi di sant’Agostino, posto accanto ad una tela di Rubens e ad una di Jordaens e l’Adorazione dei pastori.
La fama di grande ritrattista fa crescere sempre di più il numero di committenti, erano molto numerosi ed appartenevano alle grandi famiglie della nobiltà di Fiandra e del Brabante.
– Nel settembre 1631 Van Dyck ricevette nel suo atelier la regina di Francia Maria de’ Medici assieme al figlio minore Gastone d’Orléans, in esilio, che si fecero ritrarre. La regina ha lasciato un resoconto della sua visita a Van Dyck, ammettendo di aver visto nella sua collezione diverse opere di Tiziano. Van dick, era infatti riuscito ad accumulare un numero consistente di opere di pittori italiani: 17 Tiziano, 2 Tintoretto, 3 Anthonis Mor, 3 Jacopo da Bassano.
Carlo I fu, tra i sovrani inglesi del passato e quelli europei suoi contemporanei, quello che più apprezzò l’arte pittorica e che si dimostrò sempre un munifico mecenate e protettore degli artisti. Con l’arrivo di Van Dyck, tutti gli altri pittori sparirono. Carlo aveva trovato finalmente il pittore di corte che desiderava da anni.
La passione per l’arte di Carlo I era tale che, nel 1628 aveva acquistato dal duca di Mantova la grande collezione di dipinti accumulati negli anni dai Gonzaga, anch’essi noti protettori di artisti di fama internazionale.
– Nel 1626 era riuscito a convincere a trasferirsi a Londra il pittore italiano Orazio Gentileschi, che fu nominato pittore di corte e che si dedicò, tra le altre cose, alla decorazione della Casa delle Delizie, residenza della regina Enrichetta Maria presso la città di Greenwich.
– Nel 1638 riuscì a far approdare in Inghilterra anche la figlia di Orazio, Artemisia Gentileschi di cui conservò un celebre dipinto, l’Autoritratto in veste di Pittura.
– Nel 1632, Van Dyck era giunto per la seconda volta in Inghilterra. Accolto con tutti gli onori, fu presentato al re, che aveva conosciuto anni prima come principe di Galles, e prese alloggio a Londra, presso la dimora di Edward Norgate, scrittore d’arte, a spese della Corona.
– Nel 1632, Carlo I gli conferì il titolo nobiliare di baronetto, nominandolo membro dell’Ordine del Bagno e gli garantì una rendita annua di duecento sterline, oltre a rendere ufficiale la sua nomina a primo pittore di Corte.
– Nel 1634, per circa un anno, Van Dyck tornò ad Anversa e poi si trasferì a Bruxelles, per far visita alla famiglia. Nel corso del suo soggiorno a Bruxelles incontrò anche Tommaso Francesco di Savoia, primo principe di Carignano e comandante generale delle forze spagnole nei Paesi Bassi, di cui eseguì un grande ritratto equestre, in cui il principe appare in tutta la sua maestà, tenendo con fermezza uno splendido cavallo bianco mentre si impenna.
Tornato a Londra, Van Dyck entrò a far parte del folto gruppo di cortigiani cattolici fedeli alla regina Enrichetta Maria, tra cui Kenelm Digby ed Endymion Porter. Il re si fece ritrarre innumerevoli volte, in ritratti singoli, accompagnato dalla regina o dai figli. La tela più famosa di Carlo assieme alla sua famiglia è il Greate Peece, di grande formato e raffigurante il re e la regina seduti: accanto al sovrano sta in piedi il piccolo Carlo, principe del Galles, mentre fra le braccia della regina siede Giacomo, duca di York.
– Nel 1640 sposa Mary Ruthven, nobildonna scozzese e dama di compagnia della regina, dalla quale ha una figlia. Un anno dopo, il 9 dicembre 1640 Anton van Dyck muore a Londra all’età di 41 anni.